Mi scriveva lettere mentre il muro di Berlino crollava. Scriveva di continuo. Due, a volte tre lettere a settimana. Lettere in carta gialla, lettere in carta rosata. Inchiostro verde. Disegni, fregi e decorazioni ai margini. Aveva una buona mano già a quel tempo.
Devo averle pur risposto qualche volta, ma non ricordo.
Capelli biondi. Occhi grigioverde come giada striata. La ricordo bellissima.
Ora so che ha viaggiato. È diventata fotografa professionista. Ho visto la pubblicità di un suo libro. Foto da Hanoi.
Mi domando dove sia stata tutto questo tempo. In tutti questi anni. In Vietnam. E poi? Dove sei stata, in questo tempo, Nora?
Dove sono stato io in questi anni? Perché non ti ho amata quando ancora potevo farlo?
E in tutte quelle lettere, me ne accorgo solo ora, non le ho mai chiesto “come stai”. Le due parole più belle al mondo.
Stupido. La combinazione di parole più bella al mondo, io con lei non l’ho mai usata.
Le ho detto “ti amo”, e non l’amavo.
Le ho detto “ti amo”, e pensavo d’aver pronunciato le parole più profonde di questo mondo. Ma eravamo giovani. Troppo giovani per capire.
C’è voluta una vita, e il crollo di quel dannato muro e tutte quelle lettere dimenticate in un garage. C’è voluto tutto questo tempo prima che capissi il mio errore.
Le ho detto “ti amo”, ma non le ho mai chiesto “come stai”. Ecco che ho fatto.
Per questo David Bowie non è di noi che parla quando, da Berlino, incideva quei suoi versi struggenti:
I, I can remember
Standing, by the wall
And the guns, shot above our heads
And we kissed, as though nothing could fall
Perché non eravamo noi – io e te, Nora – a scambiarci un bacio ai piedi di quel muro di cui mi hai descritto la caduta in tempo reale. Tu che l’hai vissuta.
Tu che hai vissuto.
(luglio 2010)