Dark Light

Se ne venne su per la scaletta sbuffando e sudando. Diede una scrollata ai calzoni e buttò un’occhiata al sole che andava a morire dietro i cipressi. No, non era cielo da pioggia, quello. Quei rubagrana delle previsioni sbagliavano di nuovo.

«Rubagrana» disse, e sputò.

Guardò giù nella fossa poi su al cielo. Pioggia non ne sarebbe venuta quella notte, non c’era da temere dopo tutta quella macinata d’ossa. Gli doleva la schiena al vecchio Vincenzo. Un dolore da levare il fiato. Quel mese parevano essersi messi tutti d’intesa, là fuori. Quattro fosse in dieci giorni. Ventidue anni a far da custode e seppellitore, ma una cosa a quel modo l’aveva mai vista. Dal letto alla fossa. E uno e due, e poi la vecchia Elvira, che il quarto sarebbe arrivato domani. E tutto in un cantone di trecento anime, per giunta. Tira su la terra e cala giù la cassa e copri e scava di nuovo, aveva finito col rompersela per davvero la schiena, il Vincenzo. Tutto un grido muscolare era, e fitte ai fianchi e le spalle dure come il marmo, che ci si sarebbero potuti scolpire i nomi e le date come si fa sulle lapidi.

Se ne stava là. A fissar la fossa, le mani premute contro i reni, il fiatone e un male cane. Mancava solo che quella notte venisse giù acqua a rovinargli il lavoro. «Rubagrana» disse, e sputò.

Si accucciò, allungò il braccio afferrando il badile. Lo tirò su, brandì la scaletta, tirò su anche quella. Si rimise in piedi imprecando per il dolore. Diede un’ultima occhiata e se ne andò. Tagliò giù per il vialetto, traversò il comparto C ancora imprecando, levandosi il sudore dalla fronte con l’avambraccio, il badile sempre in mano. Alzò il braccio e cacciò una smorfia, che anche un maledetto badile pesa un quintale quando uno ha le braccia che gli urlano di mille tormenti, specie dopo dieci giorni a quella maniera, a scavare e scavare quasi si volesse cavar via il cuore al pianeta.

S’era fermato a prendere fiato giusto all’angolo del comparto C, prima dell’ossario, che gli cadde lo sguardo sulla fila di tombe. Gli scarponi erano là. Due anfibi nuovi, marrone scuro, di quelli alti sopra la caviglia, coi lacci lunghi e le punte dure, con dentro il rinforzo in ferro. Erano belli lindi, poggiati sulla lapide grigia del Guerra Palmiro e della moglie Adele – vedova Adelina per undici anni, poi si vede che s’era stancata e se n’era andata anche lei e saran stati neanche sei mesi ch’era morta, l’Adelina.

Raccolse scaletta e badile, portò tutto al bugigattolo. Posò gli attrezzi, diede un’ultima occhiata agli scarponi e li ripose sul tavolo. Ci avrebbe pensato domani, dopo il funerale. Avrebbe scritto un cartello da attaccare all’inferriata all’ingresso: “Smarriti scarponi da uomo nuovi. Chiedere al custode, Bertazzi Vincenzo”. (…)

Questo è l’incipit del mio racconto “Il viaggio”, pubblicato dalla casa editrice FuocoFuochino nel mese di gennaio 2025. Qui il link all’editore.

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