A Jeff Buckley.
Il chiasso della Rambla è lontano. A quest’ora, qui al porto viene chi cerca silenzio e solitudine. La Rambla sarebbe più indicata per raccogliere spiccioli, ma a lui piace così.
La sua chitarra stasera suona il controcanto alla risacca a beneficio di barche ormeggiate e pescatori ritardatari.
Là sarebbero canzoni per pochi centesimi – qui è la sua musica.
Viene spesso al porto. Viene quando sa di aver moneta a sufficienza per domani. Quando non ha l’urgenza della fame.
Siede all’angolo del molo e non si cura di poggiare il piatto a terra. Accorda la vecchia Martin e si scalda con un blues. Improvvisa in faccia al mare fino a sentire le dita stanche.
E quando è stanco, ore dopo, è allora che attacca l’Hallelujah di Cohen. La suona alla sua maniera, con accordi spezzati e note glissate – la tonalità della voce alta eppure così morbida.
L’ha imparata da un disco di suo padre, dice. Un vinile tra i tanti ereditati da un padre musicista che non ha mai conosciuto veramente.
Quel brano gli è rimasto addosso subito. L’ha vestito tenendolo caldo, riparandolo dalle intemperie della vita. L’ha mandato a memoria, l’ha suonato e l’ha cantato fino a penetrarlo, scoprendolo infine suo, quando quelle dinamiche sono diventate le sue dinamiche.
Fino a quando quelle parole,
I heard there was a secret chord
That David played and it pleased the Lord
But you don’t really care for music, do you?
…fino a quando quelle parole si sono rivelate l’unico verso che davvero avrebbe voluto scrivere.
Qui al porto la canta come la cantava allora, solo un poco meno malinconica. Forse perché nessuno gliela chiede. Nessuno gli chiede più di cantare l’Hallelujah da tanti anni. Da quando hanno smesso di cercarlo dragando il letto di quel fiume.
Successe quindici anni fa, lontano da questo porto e da questo paese. Un pomeriggio di maggio in America, accadde.
Fu per una coincidenza che si trovò a scendere lungo la sponda di quel fiume, in mezzo ai salici. Disse agli altri di aspettarlo. Avrebbe fatto un bagno, disse.
Un’ora più tardi, non vedendolo risalire, lo chiamarono. Poi scesero al fiume. Cercarono tra i salici e si immersero in quell’affluente dalle acque calme. Lo cercarono ancora, urlarono il suo nome per ore. Chiamarono i soccorsi e con loro dragarono il fiume e le sue anse per giorni.
Le ricerche cessarono dopo due mesi esatti. Così dicevano i giornali che lui leggeva al riparo di questo molo così distante da quel fiume e da quella vita.
Il corpo non venne mai trovato. Non una traccia, né un’ipotesi e nemmeno una ragione. Si era allontanato, dissero, più per darsi pace che per convinzione.
In realtà, lui che avrebbe potuto essere qualcuno, scelse di essere, semplicemente, se stesso. Qui. Lontano dalla Rambla. Qui al porto, dove sono in tanti – turisti e musicisti di strada – a mantenere il segreto. E se riescono a farlo è solo per aver ascoltato l’Hallelujah in silenzio accanto a quel molo.
Perché quel poco di malinconia che la sua versione ha perso negli anni è, come in quell’unico verso che davvero avrebbe voluto scrivere, l’accordo segreto che compiaceva il Signore.
«Ma a te non importa molto della musica, vero?» chiede lui con un sorriso a chi, ammutolendo, lo riconosce.
(dicembre 2012)
Racconto pubblicato anni fa sulla rivista online “Flow”.